Una lettera degli studenti ai professori
Cari colleghi professori
la Preside mi incarica di accompagnare con una riflessione la pubblicazione di questa lettera che i nostri studenti ci hanno inviato.
Ho letto questa lettera in un battito e mi sono lasciato guidare dall'istinto. Di solito non faccio così: leggo, ci rifletto, ci ritorno; qualche volta lascio passare anche i giorni prima di esprimermi. Ma in questo caso ho visto subito e non ho avuto dubbi. Ho visto emergere due mondi, ciascuno con i propri disagi, ciascuno con le le proprie preoccupazioni, le priorità ritenute sacrosante e indifferibili.
Forse perché quando insegno un filosofo – e questo è il tempo di Leopardi e di Nietzsche – tendo ad avvicinarmi al suo modo di pensare, direi che la nostra responsabilità è quella di spiegare a questi ragazzi che ogni generazione deve accettare il proprio destino. I ragazzi del 1899 sono stati buttati nelle trincee a morire tra i topi e il fango; i ragazzi del 1924 dormivano la notte nei fossi e sono stati quasi tre anni nascosti, vivendo nell'angoscia di essere deportati; e quel tale che non ha saputo resistere e una sera d'ottobre è andato al circo a vedere lo spettacolo, complice gli occhi di una ragazza, ha trovato le SS ad aspettarlo. Aveva vent'anni e la sua famiglia non l'ha più visto; finì a Mauthausen e si chiamava Bruno, era nato a Bresseo. I ragazzi del 1950 indossavano l'eskimo e portavano il basco alla Che Guevara e si sono nutriti di sogni e di illusioni e taluni hanno imbracciato le armi e distrutto la vita propria e quella di vittime innocenti.
E poi c'è l'altra cosa che dobbiamo comunicare: e cioè che la salute è un bene inestimabile e che è davvero sciocco metterla a rischio e che la responsabilità di ciascuno vale anche per l'altro che si espone alla malattia (e alla morte) per la nostra leggerezza e incoscienza. E poi che certamente si soffre un grave disagio per questa pandemia ma che tutto quello che abbiamo non è cosi normale e così scontato e che in Italia solo nel 1956 si è raggiunta la soglia delle 3.000 calorie pro capite e che stare al caldo, avere abiti puliti e cibo buono sono privilegi che ci appartengono da qualche decennio appena e che nel mondo ancor oggi moltissimi non ne godono.
Dunque ogni generazione ha il suo destino, talvolta crudele, talvolta fortunato. Ma accettarlo, perché diversamente non si può, non significa subirlo; e se lo sappiamo accettare con gioia possiamo scovare le possibilità che sono in ogni situazione, in ogni stare, in ogni contesto. Non sempre sono le possibilità che speravamo, che desideravamo, ma sono comunque possibilità (nuovi orizzonti, nuove invenzioni - dice il filosofo) che conviene adottare piuttosto che lasciarci piangere e piegarci nell'inedia e nella depressione.
Nell'altro mondo ci sono io, ci siamo noi, gli insegnanti. Certamente anch'io mi sono sentito a disagio per non riuscire ad avere il controllo delle valutazioni. Ma ad un certo punto – ancora il filosofo – bisogna accettare che il mondo è cambiato, che un cataclisma ci ha travolti, un vulcano ha sommerso le nostre certezze. E dunque inutile cercare di riprodurre quel che facevamo prima. Dobbiamo spiegare a questi ragazzi che se ci ingannano – e lo possono fare comodamente – i primi a pagare sono loro. E noi non dobbiamo vivere l'inganno come una sconfitta ma dobbiamo concentrarci a motivare perché ingannare non conviene, perché l'inganno rende gli uomini vili e la pigrizia seppellisce l'intelligenza. La nostra responsabilità è convincere questi ragazzi che la coerenza è una forma mentis che ci resta come dono perenne per affrontare la vita a schiena dritta (e guardare l'orizzonte per cogliere le geometrie, le occasioni improvvise che si aprono nella circostanza, come sapeva fare Franz Beckenbauer, il calciatore sublime amato da Heidegger). Dobbiamo considerare che questi ragazzi alternano lo straniamento della solitudine, all'essere soffocati da un ritmo vertiginoso di verifiche nelle settimane in presenza e che tutto questo avvicendarsi rischia di metterli all'angolo. Dunque una proposta: riprendiamo in mano “La Ginestra” e con il medesimo atteggiamento del filosofo, solidale nella disgrazia, aiutiamo questi ragazzi a tirarsi fuori dal pantano in cui tutti siamo caduti.
Sergio Giorato
Pubblicato il 14-04-2021